Lettere Contro la Guerra by Tiziano Terzani

Lettere Contro la Guerra by Tiziano Terzani

autore:Tiziano Terzani [Terzani, Tiziano]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-04-26T12:32:51+00:00


Ricordatevi dell’ 11 settembre », come se quelle vittime potessero giustificare tutto, come se quelle vite fossero diverse dalle altre e comunque valessero molto, molto di più.

Una forma di violenza ne genera un’altra. Solo interrompendo questo ciclo si può sperare in una qualche soluzione, ma nessuno sembra disposto a fare il primo passo.

Fra le tante organizzazioni non governative che si affollano ora in Afghanistan a portare, coi soldi dei vari governi, la loro versione di umanità e di aiuti, non ho sentito di nessuna che intenda venire qui a lavorare per la riconciliazione, a proporre la non-violenza, a far riflettere gli afghani - e forse anche gli altri - sulla futilità della vendetta.

E, mio Dio, se ce ne sarebbe bisogno! Raramente ho visto un paese così imbevuto di violenza, di ostilità, così propenso alla guerra. Dovunque mi rivolgo sento odio. I tajiki odiano i pashtun, gli uzbeki odiano i tajiki, i pashtun odiano gli uzbeki e tutti odiano gli hazara, visti ancora oggi come i discendenti delle orde mongole - il loro nome significa

« a migliaia » - ed eredi di Gengiz Khan.

Ho sempre creduto che la sofferenza fosse una mae-112

Lettere contro la guerra

stra di saggezza e venendo in Afghanistan pensavo di trovarci, dopo tanta sofferenza, un terreno fertile per una riflessione sulla non-violenza e un impegno alla pace. Per niente! Neppure là dove sarebbe più ovvio.

Il centro ortopedico del Comitato Internazionale della Croce Rossa è uno dei posti più commoventi di Kabul, un concentrato di dolore e di speranza diretto da un torinese schivo ed efficiente, Alberto Cairo. Lui è la sola persona del centro ad avere due mani e due gambe. A tutti gli altri, pazienti e impiegati, medici e tecnici, manca regolarmente qualcosa. Persino l’uomo delle pulizie è senza una gamba. « Lavorare qui serve a noi a sentirci utili e serve a chi arriva qui, avendo perso un pezzo di sé, a vedere che è possibile continuare a vivere », dice l’uomo che mi accompagna. Era un traduttore. Un giorno, tornando a casa in bicicletta, un cecchino dell’Alleanza del Nord lo ha centrato in una gamba spappolandogliela sopra al ginocchio. « Se non è morto, quel tipo è ora di nuovo a Kabul », ho commentato come soprappensiero. «Lei lo ha perdonato? » « No. No. Se potessi lo ammazzerei con le mie mani », mi ha risposto.

Tutti quelli che ci stavano a sentire erano d’accordo.

Nella sezione delle donne una ragazzina di 13 anni impara a camminare con un nuovo piede di plastica, muovendosi lentamente lungo un tracciato di orme rosse sul pavimento. Un giorno, sei mesi fa, la madre le ha chiesto di andare a cercare un po’ di legna per il fuoco. Poco dopo ha sentito un’esplosione e le urla. Chiedo al-Lettera da Kabul 113

la fisioterapista che l’aiuta, anche lei senza una gamba, persa anni fa su una mina nascosta nel cortile della scuola, se ritiene possibile un mondo senza guerra. Ride, come avessi raccontato una barzelletta. « Impossibile. Impossibile », dice.

Ogni politico in



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